Chi ha bisogno dei bisogni? 5 riflessioni sul tema dei bisogni nella società dei servizi.

Posted by on 8 Maggio 2012 in Blog | 3 comments

Chi ha bisogno dei bisogni? 5 riflessioni sul tema dei bisogni nella società dei servizi.

 Malgrado l’incombere della crisi viviamo sempre in una società dei consumi dove gli individui che si accontentano di avere un insieme finito di bisogni, che non cercano affannosamente nuove occasioni di consumo, sono ritenuti consumatori difettosi e, per certi versi, cittadini incompleti. Poco importa che dietro al presunto bisogno si celino spesso desideri innumerevoli ed effimeri, quando non capricci, per loro natura infiniti,  insinceri, casuali ed infantili. Come afferma Zigmunt Bauman è intorno a questo che ruota “il vero ciclo economico, quello che veramente fa andare avanti l’economia: il ciclo del compra godi e butta via”; consumo, dunque sono. In tale contesto, che ne è di quel bisogno cha ha rappresentato la ragion d’essere dello stato sociale nel quale abbiamo vissuto?

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 1- La società dei servizi alimenta sempre nuovi bisogni

Dal punto di vista dell’economia prevalente il legame tra bisogno e consumo si realizza attraverso la produzione di beni e servizi; l’imperativo della crescita spinge a consumare sempre di più e quindi a produrre sempre più beni e servizi per far aumentare il PIL; superata una certa soglia di produzione, l’alimentazione di questo processo economico richiede da un lato l’ampliamento del bisogno a nuovi soggetti e, dall’altro, l’invenzione di nuovi bisogni che possano sostituire quelli già soddisfatti.  La crescita generata da questo automatismo può essere attribuita sia ad un generale aumento dell’efficienza nella produzione dei beni sia, e in misura maggiore, alla enorme crescita dei servizi causata almeno da tre meccanismi: quello di supporto alla progettazione, produzione e vendita dei beni materiali sempre nuovi; quello di espansione dei servizi alla persona garantiti dal welfare; infine quello che ha spostato grandi quantità di attività prima svolte informalmente nelle famiglie, nelle imprese e nelle comunità (ovvero regolate da pratiche di comune buon senso per lungo tempo percepite come normali) in servizi professionalizzati, contabilizzati nelle procedure amministrative della economia reale. L’espansione del settore dei servizi ha spostato l’attenzione sociale dalla produzione centrata sulla manipolazione fisica della materia, alle infinite operazioni e transazioni immateriali che avvengono sempre più frequentemente su beni intangibili e relazionali.

In tale contesto l’imperativo del consumo obbliga a mobilitare ed inserire nel circuito economico,  risorse di senso e di significato sempre nuove che possano giustificare il richiamo a qualche tipo di bisogno: essere parte di, appartenere a, mostrare che, credere in, sono solo alcune delle dimensioni che rendono esplicita questa traslazione del bisogno dal piano puramente fisiologico, a quello sociale e persino spirituale. L’economia nella quale viviamo immersi ha bisogno assoluto di lavorare in una società che accetti e dia per scontata la costante costruzione e ricostruzione di bisogni sempre nuovi.

 2 – Nella società dei servizi le professioni e gli esperti costruiscono nuovi bisogni

La centralità del settore dei servizi implica il peso crescente delle imprese e degli imprenditori che vi agiscono e l’importanza di tutti quei saperi e professioni che sono in grado di immaginare, disegnare e gestire nuovi servizi ovvero di giocare con successo le proprie competenze professionali in tale ambiente. Molti di essi, sono formati ed addestrati, deputati ad interpretare i bisogni delle persone e, soprattutto, a tradurli in beni e servizi inventati apposta per soddisfarli. Dai vari tipi di consulenti, medici, avvocati, psicologi, esperti di marketing, ci si attendono soluzioni che dovrebbero far superare le carenze che si manifestano nelle persone (nelle famiglie, nelle organizzazioni) in forma di bisogno. Interi settori economici agiscono e prosperano in questo mercato crescente attestando ancora che il bisogno è necessario al buon funzionamento dell’economia dei servizi e, pertanto, deve essere sistematicamente prodotto e riprodotto. Alcune recenti notizie mostrano in trasparenza dei processi sociali che sono in tal senso esemplari:

– il “bisogno di casa”, cioè di nuove unità abitative mentre milioni di appartamenti sono sfitti o invenduti (sostituzione del bisogno con la soluzione economica e finanziaria che dovrebbe soddisfarlo);

– la cellulite femminile trasformata dalla pubblicità da inestetismo a malattia (creazione di un nuovo bisogno attraverso la medicalizzazione di un disagio indotto);

–  la pubblicità martellante e pervasiva che promuove le “scommesse” e il gioco d’azzardo” in assenza di regolamentazioni e malgrado siano note le drammatiche conseguenze sociali che comporta (creazione di un doppio bisogno con opportunità di introiti per i monopoli, per le imprese dell’industria dell’azzardo, e infine, per i servizi e i professionisti che lavorano sulla danno prodotto);

–  l’invasione pubblicitaria nelle stazioni ferroviarie tramite terminali digitali a fronte del frequente non funzionamento dei ben più utili (per il viaggiatore) schermi informativi (bisogno di vendere in sostituzione dell’obbligo di informare).

 3 – Nella società dei servizi è necessario creare nuovi  bisogni per aumentare i consumi e per far crescere il PIL…

Ai bisogni intesi come mancanza (definizione necessari per i produttori), si aggiungono dunque altri bisogni generati dal cattivo uso e dall’abuso di beni e servizi, problema drammatico di cui sempre più persone cadono vittima; dipendenza da acquisti, depressione post vacanza, abuso di farmaci, dipendenza da lavoro ed una vasta galassia di patologie (vere o presunte che siano) diventano l’espressione della medicalizzazione della vita che si fonda sulla continua individuazione di nuovi bisogni o, meglio, di nuove soluzioni che si affermano nel mercato dei servizi.

Non occorre proseguire ulteriormente. Nella nostra società il fatto che tutto questo faccia aumentare il PIL e contribuisca a “far girare l’economia” trova giustificazione sia nell’esigenza di creare posti di lavoro (per produrre reddito familiare e consumare), tanto quanto nella necessità di generare il surplus finanziario che dovrebbe essere equamente redistribuito attraverso servizi pubblici, sociali e sanitari. Non stupisce che per molti l’aumento dei consumi e la crescita del PIL siano diventati l’unico feticcio  e fors’anche il fine ultimo della società. Non stupisce neppure il malcontento dei molti che non condividono questi assunti o l’astio di coloro che restano esclusi dalla possibilità del consumo. A ben vedere si tratta proprio della negazione di quei bisogni di auto-realizzazione e di trascendenza basati sull’impegno personale che molti pensatori di ogni cultura ed ogni epoca hanno posto al livello più alto dell’evoluzione umana.

C’è allora da chiedersi se un meccanismo generale così dissipativo possa continuare a funzionare distruggendo sistematicamente quei beni comuni che, infine, rappresentano il fondamento di ogni società o se convenga piuttosto esplorare qualche orizzonte alternativo.

 4 – … senza la crescita del quale verrebbero messi in crisi i servizi alla persona e distrutto anche  lo stato sociale.

Il contesto descritto pone sfide formidabili al welfare al quale eravamo abituati e, nello specifico, al sistema di servizi e prestazioni alla persona che esso dovrebbe garantire. Senza crescita – viene ripetuto quotidianamente da destra e da sinistra – viene a mancare la torta da redistribuire, vengono a mancare le risorse per garantire i servizi, che, non a caso, sono i primi a cadere sotto la scure dei tagli di bilancio. Se l’imperativo è questo tipo di crescita diventa particolarmente difficile lavorare sulle origini sociali, sulle cause contestuali che generano e causano il bisogno; semplicemente esse contribuiscono al PIL e non vengono messe in discussione; l’unica scelta diventa allora – ed è stato così per decenni – l’intervento “terapeutico” sugli individui definiti come carenti o bisognosi o, al più, l’azione centrata sulla prevenzione caratterizzata spesso da grandi investimenti e pessimi risultati.

Non stupisce dunque il sospetto con cui molti guardano al modo comune di intendere i bisogni, i dubbi di quanti osservano o credono di osservare i fallimenti del sistema di welfare, lo scoramento di chi si impegna per affrontare i problemi spinto da una propria tensione morale e la disillusione di quanti lavorando sui bisogni che (solitamente) gravano sui servizi sociali si guadagnano da vivere.

La crisi di questi dispositivi dissipativi che appaiono non appena si tolgono gli occhiali (di una malintesa ideologia di sviluppo economico o di una mal riposta fiducia nella soluzione assistenziale) non mettono per fortuna in discussione l’etica del prendersi cura (essa stessa un bisogno dei più umani e genuini); non mettono in discussione né la buona fede né la tensione di famiglie, operatori e volontari che dedicano il loro impegno e le loro energie a prendersi cura degli altri (traendone spesso motivo di profonda soddisfazione). Spingono però a guardare con grande interesse a quanti hanno cercato di definire e praticare ipotesi innovative, suggeriscono di vedere nella crisi una opportunità di collaborazione e condivisione inattesa, obbligano a riflettere criticamente, ad adottare nuovi modi di pensare capaci di attraversare gli steccati propri della organizzazione rigida della conoscenza, invitano ad esplorare nuove soluzioni.

 5 – Si può continuare così o sarà meglio trovare strategie innovative che rimettano al centro le persone e le loro potenzialità?

Il modello economico che sta ancora distruggendo i beni collettivi e le ecologie con i suoi numerosi dispositivi dissipativi, da qualche tempo non è più in grado di garantire la crescita e, dunque, minaccia ancor più seriamente la sopravvivenza di quel che resta dello stato sociale. C’è una sfida dunque, da affrontare con responsabilità e molto spirito di innovazione. E’ possibile pensare ad un sistema almeno in parte alternativo a quello insostenibile messo in discussione dalla crisi attuale?  E’ percorribile la strada della proliferazione dei bisogni o sarà necessario un ridimensionamento? E’ necessario continuare a crescere in modo da generare le risorse per far funzionare lo stato sociale?  E. per ultimo, sono credibili azioni e scelte volte a liberare le persone dal bisogno anziché a renderle sempre più dipendenti da bisogni indotte ad arte?

La risposta a queste e ad altre domande richiede un passaggio concettuale che consenta di spostare l’attenzione dal concetto di bisogno inteso come carenza a quello di bisogno pensato come sistema. Richiede inoltre un approccio innovativo, capace di individuare le risorse e le opportunità che sono sempre presenti ma sono nascoste dietro le barriere delle specializzazioni, le pieghe dei settori, i muri delle organizzazioni e delle burocrazie, le inerzie di vecchie culture di potere.

Tale scelta richiede una revisione accurata dei meccanismi dissipativi propri della modernità, il superamento degli steccati che separano le politiche e la presa in carico dell’ambiente di vita delle persone come elemento strategico unitario per la qualità dei servizi e determinante essenziale della qualità della vita. L’opportunità è quella di costruire spazi di vita a misura delle fragilità umane (se un territorio va bene per i bambini, gli anziani e i disabili va bene per tutti) piuttosto che a misura degli interessi di breve periodo che ruotano invece intorno alla speculazione edilizia e alle infrastrutture viarie. Si tratta di un ambiente urbano e comunitario finalizzato a limitare rischi e pericoli che generano quei disagi che attualmente ricadono interamente nei settori sociale e sanitario come puro costo. Al centro di tale cambiamento non può che esserci la persona e la volontà sociale di massimizzarne le capacità attraverso l’uso di tecnologie abilitanti. la costruzione di contesti generativi di capitale sociale, di inclusione e relazionalità, di spazi e beni comuni. Una visione che porta in sé l’idea di un nuovo rinascimento e che contiene i germi di uno sviluppo economico sostenibile; lontana e di fatto opposta rispetto a quella attuale ancora centrata sulla separazione, l’alimentazione di nuovi bisogni e, in ultima istanza il sabotaggio e la distruzione sistematica dei beni comuni.

3 Responses to “Chi ha bisogno dei bisogni? 5 riflessioni sul tema dei bisogni nella società dei servizi.”

  1. Ho visto un po’ di cose sul blog.
    Credo che per parlare di bisogno pensato come “sistema” dovrò cercare di commentare, in sequenza, altri tre post, iniziando da https://www.valut-azione.net/blog/lanziano-nella-comunita-locale-da-portatore-di-bisogno-a-risorsa-per-la-produzione-di-capitale-sociale/.
    Spero presto.

  2. Ho trovato valut-azione.net con una ricerca di “sistema sociale” “sistema tecnico” relazione.
    Vorrei commentare la sintonia che percepisco tra le cose presentate sul vosto sito, sul tema “innovazione sociale”, e le cose che cerco di presentare con un “sito di lavoro“.
    Per il momento non credo che ci riuscirò ma … ve lo faccio sapere.
    Cordiali saluti,
    Luigi – classe 1940

  3. secondo me ci siamo creati uno stile di vita così lontano dalla vita vera che l’unico modo per riprenderci in mano noi stessi è forse quello di azzerare tutto e ricominciare tutto da capo.O forse questa realta non ci appartiene e si risolvera tutto con le generazioni future.

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  1. Chi produce e chi cura. Innovazione sociale tra profit, non profit e altre opportunità territoriali. | Valut-Azione.net - […] condividono un comune impegno, una focalizzazione alla cura di altre persone, una centratura sui bisogni che è propria di molte…

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