Un pizzico di etica, 5 criteri per realizzare progetti di valore e alcuni stimoli per la valutazione

Posted by on 4 Settembre 2010 in Blog | 0 comments

Un pizzico di etica, 5 criteri per realizzare progetti di valore e alcuni stimoli per la valutazione

Il richiamo a comportamenti etici nel mondo della finanza dell’economia, della politica e, più in generale, nell’intera società, è sempre più diffuso. In tempi assai differenti ma certo molto turbolenti Gandhi – un leader di statura straordinaria – consigliava: “abbiate cura dei mezzi e i risultati verranno da soli”.  Attualmente invece c’è il forte rischio che la risposta  a queste richieste venga ridotta ad uno specialismo fondato sul sapere degli esperti piuttosto che tradursi in un aumento di responsabilità e di consapevolezza da parte di decisori e cittadini. La sfida ovviamente riguarda anche quanti si occupano di valutazione.

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Politiche, programmi e progetti sono caratterizzati da dilemmi etici; anche la loro valutazione pone problemi  molto concreti di tipo etico sui quali spesse volte si sorvola. Immagino l’etica come quella branca della filosofia che studia l’agire umano e consente di distinguere i comportamenti ritenuti buoni, giusti, o moralmente leciti, dai comportamenti ritenuti cattivi o moralmente inappropriati; un tipo di “studio pratico” che nei sistemi sociali attuali, caratterizzati da una forte interconnessione tra le parti, dalla compresenza di sistemi di aspettative differenziati e dalla straordinaria diffusione di reticoli di  connessioni causali dagli effetti molteplici e spesse volte imprevedibili, è tanto affascinante quanto importante.

Ora, se nessuno è tenuto ad essere un filosofo, ogni persona coinvolta nel disegno, nella implementazione e nella valutazione di programmi, progetti e politiche, dovrebbe disporre di sensibilità, conoscenze e capacità di ragionamento, che possano permettergli di scegliere e di adottare quelle attenzioni e quei comportamenti capaci di promuovere il bene pubblico e di evitare o, almeno, minimizzare, il danno sempre possibile.

L’esperienza insegna che, in quanto soggetti sociali (dunque anche come politici, valutatori, amministratori, manager), siamo sempre coinvolti in procedure di valutazione che usiamo, in modo implicito o esplicito, per dirimere questioni, giudicare eventi, fare scelte; dietro queste procedure siamo costretti a riconoscere l’esistenza, spesse volte oscura, di alcuni principi, di alcuni valori ai quali ci affidiamo, a volte in modo intuitivo altre volte in modo ragionato, per sostenere ed argomentare la bontà delle nostre posizioni.

...anche il modo attraverso cui definiamo cosa deve essere definito "bisogno" dipende in ultima istanza da considerazioni e da criteri di ordine etico...

… anche il modo in cui definiamo quello che è un “bisogno” dipende in ultima istanza da considerazioni e da criteri impliciti o espliciti di ordine etico…

In estrema sintesi questi principi forniscono una guida per l’azione e consentono di sostenere ciò che si ritiene essere giusto e buono rispetto a ciò che si definisce male e sbagliato. Per amore di un possibile uso pratico e in accordo con la letteratura che mi ricordo (una piccolissima selezione personale in un campo sterminato) ne cito succintamente cinque che ho avuto modo di riscontrare più volte sul campo.

i) (C’è chi usa) il criterio delle conseguenze: un’azione (ma potremmo dire un progetto o una valutazione) è buona e giusta in base alle conseguenze che produce; ad esempio – in accordo con il pensiero utilitarista – se permette di ottenere i migliori effetti positivi per il maggior numero di persone. Poiché sono le conseguenze che rendono giusta o sbagliata una azione., un comportamento ritenuto da alcuni moralmente riprovevole è tale solo se le sue conseguenze sono negative rispetto al criterio di massimizzazione adottato

ii) (C’è chi usa) il criterio del dovere: un’azione (ma potremmo dire un progetto o una valutazione) è giusta e buona se deriva dal rispetto di un obbligo derivante da ruoli, leggi, prescrizioni di tipo religioso, ovvero da obbligazioni ed aspettative che altri soggetti hanno rispetto ai comportamenti propri di un ruolo o di una persona. L’imperativo morale che consegue dalla domanda “cosa accadrebbe se ognuno agisse nelle medesime circostanze nello stesso modo”? può essere descritto dalla norma aurea “ non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te stesso”.

iii) (C’è chi usa) il criterio dei diritti: una azione (ma potremmo dire un progetto o una valutazione) è giusta e buona se tiene sempre in considerazione i diritti di ogni persona, li rispetta e li garantisce. La salvaguardia dei diritti delle persone è ciò che rende possibile discriminare tra ciò che è bene e ciò che è male e questo malgrado culture diverse definiscano in modo differente  taluni diritti: il suggerimento morale è quello di trattare  le persone sempre con un fine in sé e mai come un mezzo.

iv) (C’è chi usa) Il criterio della giustizia sociale: una azione (ma potremmo dire un progetto o una valutazione) è giusta e buona se garantisce l’equità ovvero se garantisce un comune accesso alle libertà fondamentali, se contrasta l’ineguaglianza sociale e la sperequazione economica. Giustizia ed equità impongono di esplorare con cura le ricadute diversificate in termini di differenze di genere, etnia, classe, età, territorio che spesso accompagnano l’implementazione dei programmi e dei progetti.

v) (C’è chi usa) il criterio della cura: un’azione (ma potremmo dire un progetto o una valutazione) è giusta e buona se sviluppa e protegge con  grande attenzione le relazioni e tiene conto del contesto nel quale si manifestano i dilemmi etici di creature sensibili. L’attenzione – secondo la sensibilità tipica della prospettiva femminista – è sulla ricerca di soluzioni a situazioni specifiche piuttosto che sulla ricerca di generalizzazioni adattabili ad ogni caso, come nei quattro punti precedenti.

Nel lavoro sul campo, dove si gioca con attori sociali, economici ed istituzionali che si muovono “strategicamente”, assai spesso i criteri (così come emergono dai documenti e dalle conversazioni) appaiono mescolati, a volte gerarchicamente organizzati, altre volte in pesante conflitto tra di loro; ma è anche su questi “principi ordinatori” (qualcuno li chiamerebbe valori)  che si organizzano saperi e, spesso, si mobilitano emozioni e passioni capaci di attivare o bloccare il cambiamento; è, in particolare da questi principi che scaturiscono domande puntuali e molto differenti rispetto alla “bontà” di uno specifico intervento.

E su questo, credo, anche chi si occupa di valutazione dovrebbe riflettere a fondo. (Il ritratto di Gandhi è stato realizzato dagli ospiti del Laboratorio protetto ONLUS Hands di Bolzano)

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