Bit, tamburi e messaggi. Le conversazioni che plasmano il nostro mondo

Posted by on 1 Novembre 2015 in Blog | 0 comments

Bit, tamburi e messaggi. Le conversazioni che plasmano il nostro mondo

Possiamo immaginare la società come una conversazione ininterrotta tra milioni di persone che avviene attraverso diverse forme di linguaggio e lo scambio incessante di messaggi e di artefatti che incorporano conoscenza. Anche la nostra identità è in buona parte fondata su una conversazione interiore ininterrotta, dalla quale dipende in buona parte la nostra felicità e il nostro rapporto con il mondo e con noi stessi. Esiste tra le due conversazioni una connessione tanto profonda quanto poco esplorata.

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Metafora: la società è una grande conversazione che coinvolge persone, istituzioni, organizzazioni, reti e gruppi: questa conversazione ininterrotta da corpo e senso a ciò che solitamente riteniamo essere la realtà, il mondo quotidiano delle cose date per scontate. Impariamo a definire questa realtà innanzitutto attraverso il linguaggio che ci ha accolto e plasmato quando siamo venuti al mondo e, successivamente, attraverso tutte le interazioni con il mondo esterno. Oggi questo conversazione è ampiamente orientata e definita da organizzazioni specializzate, dal sistema dei media in particolare, che ne scandisce i ritmi, ne definisce i contenuti, ne determina l’agenda. Questo sistema composto dalle agenzie più disparate (televisioni, giornali, eventi, internet, istituzioni governative, culturali e politiche) alimenta le conversazioni più disparate intorno alle quali nascono reti, gruppi, tribù che si aggregano per affinità e per modalità condivise di interpretare e costruire proprie specifiche conversazioni. Poiché viviamo in una società ancora  ampiamente dominata da un’ideologia che celebra e santifica il consumo, non è difficile rintracciare quelle che sono alcune delle linee guida che sostengono la cultura della conversazione egemone, grazie alla quale questo particolare tipo di società esiste, si riproduce e prospera. La crescita economica come fine fondamentale della società, la concorrenza e il mercato investiti di virtù quasi magiche, il consumo come obbligo ancor prima che come piacere, la celebrazione del successo personale e della performance, la libertà intesa sul modello della scelta che massimizza l’utilità, i diritti come attributi inscindibili dalle preferenze personali, il gossip privo di ogni riferimento a strutture e processi sociali come modalità privilegiata del discorso politico, il caso umano assunto ad archetipo universale, la finanza come realtà naturale, la scienza come fonte del sapere oggettivo, lo sport e la moda come modelli e metafore del vivere.

D’altro canto anche ognuno di noi è conversazione; le nostre menti sono costantemente impegnate in un discorso interiore che è parte integrante della nostra identità personale: in esso riconosciamo attori, immagini, relazioni, processi e strategie che danno forma a storie, paure, proiezioni, giudizi e valutazioni sul mondo che ci circonda, sul posto che occupiamo in esso, su come crediamo che esso sia e su come vorremmo esso fosse. Questo universo interiore può essere interamente colonizzato dalla conversazione sociale dominante ovvero, all’altro estremo, essere radicalmente unico e slegato da quella che definiamo realtà quotidiana. Tra questi due estremi di anomia e di patologia si gioca il destino di ogni essere umano e risiede, in linea di principio, un importante meccanismo responsabile del successo e della felicità o infelicità delle persone.

Conversazioni

Viviamo immersi in un gigantesco flusso di informazione e di conversazioni incessanti che contribuiamo ad alimentare. La reazione dei singoli che si trovano immersi in questo mondo è un drastico abbassamento della soglia di attenzione, la diffusione di quell’atteggiamento blasé già studiato da George Simmel (1858-1918)  e messo in risalto quasi un secolo fa da Walter Benjamin, la crescita di una disattenzione e di una superficialità che si pongono come schermo difensivo di fronte ad una invasione di informazioni travolgente e non altrimenti dominabile. Se questo è un meccanismo personale di difesa e di selezione, spesso poco cosciente, chiara è invece la tensione che spinge le persone verso una disperata corsa alla visibilità di cui i social media rappresentano ottimo esempio, che le attrae verso la conquista di quel quarto d’ora di notorietà preconizzato da Andy Warhol come massima aspirazione degli individui guidati dal valore del consumo.

Questo contesto ambiguo rappresenta la cifra e la sfida con la quale si cimentano tutte le agenzie che direttamente o indirettamente hanno a che fare con l’informazione e la comunicazione, quelle che producono gran parte dei materiali primari che vengo usati, elaborati e riusati nelle conversazioni sociali. In questo processo dove la posta in gioco è quella di catturare l’attenzione (per poi venderla solitamente al migliore inserzionista) il marketing si configura come una completa raccolta di tecnologie della manipolazione, che si avvale dei contributi della retorica (forse la prima scienza che si è affermata in occidente), delle discipline antropologiche e sociologiche, delle arti, della psicologia e con sempre maggiore frequenza delle neuroscienze.  Spettacolarizzazione e “gamificazione” dei contenuti (gamification), imbarbarimento delle notizie, abolizione del messaggio reale a favore del sensazionale, notizie lanciate senza prova, violenza esposta, accondiscendenza verso le opinioni di quanti possono pagare, copertura e saturazione di tutti i possibili luoghi aperti a qualche pubblico, sono strumenti consueti per cercare di rompere il muro della distrazione e catturare seppure per un attimo un po’ di attenzione. Non a caso si parla di storytelling di mind marketing, di marketing emozionale e di marketing conversazione inteso come la capacità di generare conversazioni positive intorno al prodotto che deve essere promosso.

Ovviamente più aumenta questa corsa, più aumenta il rumore di fondo e più si innalza la soglia di difficoltà per catturare l’attenzione delle persone e, sull’altro versante, più diventa difficile per il singolo emergere dalla massa indifferenziata. Da un lato vi sono infatti quanti vivono e ripetono nella loro mente le conversazioni dominanti, ne perseguono gli scopi, ne condividono la filosofia portante, danno per certa la realtà che viene rappresentata ufficialmente, partecipano alla loro elaborazione e diffusione. Dall’altro vi sono coloro che generano conversazioni alternative al di fuori dei circuiti dominanti, discorsi che a volte muoiono con se stessi, a volte irrompono su scenari più vasti e diventano mode. Tra questi due estremi bit, tamburi e messaggi vengono interpretati e riusati dalle varie tribù che compongono il mondo sociale, tribù che proprio intorno a specifici temi di conversazione si auto definiscono e vengono riconosciute.

Questa partita spinge i limiti e le frontiere della comunicazione sempre più avanti: la capacità di conversare, di sintonizzarsi sulla frequenza di conversazioni differenti e di comprenderle, è essenziale tanto per gli studiosi della società quanto per i leaders ma rappresenta una sfida anche per ognuno di noi. Gli effetti di questo sistema sulle persone possono essere infatti assai diversi: se è vero che alcuni vedono un futuro di radicale manipolazione delle coscienze individuali e anche vero che questa pressione rappresenta una sfida che può spingere le persone verso la via di una evoluzione personale costruttiva. Fatto è che nell’era dei computer e dell’informazione, della conoscenza e delle macchine intelligenti, di internet e della comunicazione diffusa, emergono a livello collettivo le domande fondamentali che da sempre stanno alla base della ristretta  riflessione filosofica; più avanza la scienza, più migliora la tecnologia, maggior diventa la certezza che la realtà non sia quello che appare semplicemente ai sensi. In tale contesto si inquadrano e si capiscono gli estremi della società in cui viviamo.

E’ possibile uscire da questo rumore di fondo? Abbandonare ogni tanto la conversazione sociale e mettere a tacere un poco  la conversazione interiore di cui spesso si è vittime più che protagonisti? E’ possibile disconnettersi dal sistema e riconnettersi con qualcos’altro mantenendo e rafforzando la propria identità personale?

Il fiorire di iniziative commerciali decisamente new age e di sette religiose variamente connotate, il crescente accento che le tecniche consulenziali e le strategie d’impresa pongono sulla gestione delle emozioni, i valori e la leadership, la diffusione trasversale del counseling e delle terapie analitiche e psicologiche al di fuori del campo strettamente patologico, mostrano come anche la conversazione interna sia messa da tempo sotto attenzione diretta da parte di organismi esterni. Le tecnologie sociali (e non solo) che man mano vengono messe a punto possono essere e sono utilizzabili sia per la manipolazione che per la promozione delle persone.  Non a caso fiorisce un ampia offerta di risorse, fatta di saperi, manuali di autoaiuto, corsi di formazione, workshop spesso finalizzati e ri-orientare il discorso interiore indirizzandolo verso l’ottimismo a tutti i costi e il pensare positivo, fin troppo spesso svincolato dai drammi che caratterizzano il mondo circostante e sovente scollegato da ogni tipo di responsabilità verso di esso. A prescindere da questo aspetto critico, resta nelle disponibilità di ogni persona la possibilità di riflettere sulla qualità e l’estensione della propria conversazione interiore cogliendone i collegamenti con  le conversazioni sociali dominanti. A parere di alcuni proprio il lavoro sulla propria conversazione interna è una capacità assai importante per determinare il futuro delle persone e in ultima istanza la loro felicità.

La riflessione  cosciente sui propri pensieri, il controllo sulla qualità delle conversazioni interiori, appare allora come una straordinaria opportunità per governare il proprio destino, per costruire una visione del mondo ad un tempo consapevole (non negare l’evidenza) e positiva (lasciare spazio al cambiamento attivo). Scegliere la via dell’evoluzione o quella dell’involuzione personale dipende in buona parte da ognuno di noi.

Forse può essere una buona idea. Passaparola!

 

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