[ Citazioni ] > Max Weber > La politica come professione

Posted by on 19 Agosto 2015 in Blog | 0 comments

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La disaffezione per la politica e pari solo alla sfiducia nei confronti dei politici di professione: agli occhi di molti cittadini sembra quasi che molti se non tutti i mali che affliggono la società siano causati da una casta insaziabile e corrotta, sempre pronta a coltivare i propri interessi e largamente orientata all’interesse, alla corruzione e al malaffare. Eppure un tradizione veneranda fa proprio della politica l’arte suprema e più alta, capace di  costruire lo sviluppo,  la pace e il benessere. Dobbiamo oggi rassegnarci al definitivo tramonto della politica diventata subalterna alle tecnocrazie e ai poteri forti dell’economia e della finanza? Oppure si può ancora coltivare l’idea di una grande politica nobile? Forse Max Weber può ancora dire qualcosa di molto utile.

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 La politica come professione: un messaggio ancora attuale

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…essa procura in primo luogo il sentimento del potere. Anche quando occupa posizioni formalmente modeste, la coscienza di esercitare una influenza sugli uomini, di partecipare al potere su di essi, ma soprattutto il sentimento di tenere tra le mani il filo conduttore di eventi storicamente importanti, permette al politico di professione di elevarsi al di sopra della quotidianità. Il problema per lui é piuttosto il seguente: per quali qualità può egli sperare di essere degno di questo potere (per quanto esso possa essere limitato nel singolo caso) e dunque della responsabilità che ne deriva? In tal modo ci addentriamo nel campo delle questioni etiche; e infatti proprio a tale campo appartiene la domanda: che tipo di uomo deve essere colui al quale é consentito di mettere le proprie mani negli ingranaggi della storia?.

Si può dire che tre qualità sono soprattutto decisive per 1’uomo politico: passione, senso di responsabilità, lungimiranza.

Passione nel senso di Sachlichkeit: dedizione appassionata a una “causa”, al dio o al demone che la dirige. (…) E infatti la semplice passione, per quanto autenticamente vissuta, non é ancora sufficiente.

Essa non crea 1’uomo politico se, in quanto servizio per una “causa”, non fa anche della responsabilità nei confronti per 1’appunto di questa causa la stella polare decisiva dell’agire.

Da ciò deriva la necessità – e questa è la qualità psicologica fondamentale dell’uomo politico – della lungimiranza, vale a dire della capacità di far agire su di sé la realtà con calma e raccoglimento interiore: dunque, la distanza tra le cose e gli uomini.

La “mancanza di distanza”, semplicemente in quanto tale, costituisce uno dei peccati mortali di ogni uomo politico ed é una di quelle qualità che, coltivate presso la nuova generazione dei nostri intellettuali, li condannerà all’inettitudine politica. Il problema é infatti proprio questo: come si possono far convivere nella stessa anima un’ardente passione e una fredda lungimiranza? La politica si fa con la testa, non con altre parti del corpo o dell’anima. E tuttavia la dedizione a essa, se non deve essere un frivolo gioco intellettuale ma un agire umanamente autentico, può sorgere ed essere alimentata soltanto dalla passione. Ma quel saldo controllo dell’anima che caratterizza l’uomo politico appassionato e lo distingue dal mero dilettante politico che “si agita in modo sterile” è possibile soltanto attraverso l’abitudine alla distanza, in tutti i sensi della parola. La “forza” di una “personalità” politica significa in primissimo luogo il possesso di tali qualità.

L’uomo politico deve dominare in se stesso, ogni giorno e ogni ora, un nemico del tutto banale e fin troppo umano: la vanità comune a tutti, la nemica mortale di ogni dedizione a una causa e di ogni distanza e, in questo caso, della distanza rispetto a se stessi. La vanità è una caratteristica assai diffusa, e forse nessuno ne è dei tutto privo (,,,),  L’aspirazione al potere é lo strumento con cui il politico inevitabilmente si trova a operare. L’ “istinto di potenza” – come si usa dire – fa perciò in effetti parte delle sue normali qualità. E tuttavia il peccato contro lo spirito santo della sua professione ha inizio là dove questa aspirazione al potere diviene priva di causa e si trasforma in un oggetto di autoesaltazione puramente personale, invece di porsi esclusivamente al servizio della “causa”.

Vi sono infatti in ultima analisi soltanto due tipi di peccato mortale sul terreno della politica: l’assenza di una causa e – spesso, ma non sempre, si tratta della stessa cosa – la mancanza di responsabilità. La vanità, vale a dire il bisogno di porre se stessi in primo piano nel modo più visibile possibile, induce l’uomo politico nella fortissima tentazione di commettere uno di questi due peccati, se non tutti e due insieme. E ciò tanto più in quanto il demagogo é costretto a contare sull’ “effetto”; egli si trova perciò continuamente in pericolo tanto di diventare un mero attore quanto di prendere con leggerezza la responsabilità per le conseguenze del suo agire e di preoccuparsi solamente dell’ “impressione” che suscita. L’assenza di una causa lo porta ad aspirare alla luccicante apparenza del potere invece che al potere effettivo; la mancanza di responsabilità a godere del potere soltanto per il potere stesso, senza uno scopo concreto. E infatti sebbene, o piuttosto proprio perché il potere costituisce il mezzo inevitabile di ogni politica e l’aspirazione al potere una delle sue forze propulsive, non vi e deformazione più pericolosa della forza politica che il vantarsi del potere come un parvenu, del vanitoso compiacimento nel sentimento del potere e soprattutto di ogni culto del potere in se stesso. Il mero “politico della potenza” (…) può esercitare una forte influenza, ma in effetti opera nel vuoto e nell’assurdo. In ciò i critici della “politica di potenza” hanno pienamente ragione. Dall’improvviso crollo interiore di alcuni tipici rappresentanti di questo principio abbiamo potuto constatare quale intima debolezza e impotenza si nasconda dietro questi gesti boriosi, ma del tutto vuoti. Esso é il prodotto di una indifferenza assai misera e superficiale di fronte al senso dell’agire umano, la quale non ha alcun tipo di rapporto con la coscienza del tragico a cui e intrecciato in verità ogni agire, e in particolare l’agire politico.

E’ del tutto vero e costituisce uno dei dati fondamentali di tutta la storia (…) che il risultato finale dell’agire politico si trova spesso, o meglio, di regola, in un rapporto del tutto inadeguato e spesso del tutto paradossale con il suo significato originario. Ma proprio per questo un tale significato – il fatto di servire una causa – non deve mai mancare, se l’agire deve altrimenti avere un suo sostegno interiore. Quale debba essere la causa per i cui fini 1’uomo politico aspira a1 potere e fa uso del potere è una questione di fede. Egli può mettersi al servizio di scopi nazionali o umanitari, sociali ed etici o culturali, intramondani o religiosi, può essere sostenuto da una solida fede nel progresso – non importa in che senso – oppure può rifiutare in modo distaccato questo genere di fede, può pretendere di stare al servizio di un’”idea” oppure respingere in via di principio una tale pretesa e voler servire i fini esteriori della vita quotidiana, ma sempre deve comunque esserci una qualche fede. Altrimenti – e questo é assolutamente esatto – la maledizione della nullità delle creature grava anche sui successi politici esteriormente più solidi.

Max Weber, 1919


Fonte: Max Weber, La politica come professione. Einaudi

 

Siamo come nani sulle spalle di giganti, così che possiamo vedere più cose di loro e più lontane, non certo per l’altezza del nostro corpo, ma perché siamo sollevati e portati in alto dalla statura dei giganti.

Bernardo di Chartres

 

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