L’Europa è in crisi profonda, il bacino mediterraneo è diventato una zona di fortissima tensione geopolitica, migrazioni drammatiche stanno mettendo in difficoltà quel che rimane dei sistemi di welfare e creano contrapposizioni crescenti con le popolazioni residenti. L’Italia che sta geograficamente al centro di questi scenari è stata finora risparmiata dal terrorismo ma l’insicurezza e la paura per l’incombere di fenomeni ritenuti incontrollabili cresce, insieme all’insoddisfazione per l’incapacità del governo nazionale ed europeo di affrontare seriamente la situazione. L’intero sistema della solidarietà stretto tra obblighi di accoglienza imposti dalla burocrazia e dalla politica e genuini valori di solidarietà, incastrato tra valori dichiarati e business vive una crisi drammatica.
Attentati suicidi, stragi, violenze, bombardamenti, migrazioni forzate, campi profughi, barconi affondati, bambini morti, donne violentate, torture, assassini, azioni terroristiche in tutta Europa, attacchi aerei e missilistici, forze speciali sul terreno, città distrutte, scontri senza quartieri di bande e fazioni, flussi finanziari che alimentano le parti in scontro, corruzione, traffico di armi fiorentissimo, azioni di intelligence, controinformazione di stampo militare. L’intera area mediterranea, trascinata nel gorgo dell’instabilità medio-orientale, è diventata un campo caotico che i media rappresentano quotidianamente alimentando più spesso la confusione e la paura di quanto aumentino la consapevolezza dei cittadini. L’incapacità di comprendere e descrivere ragionevolmente questo stato di cose spinge vaste porzioni della popolazione ad assumere semplificazioni che vorrebbero addomesticare il caos riconducendolo a categorie note che lo rendano cognitivamente dominabile.
1. Qualcuno vede la genesi dei disordini attuali nello scontro di civiltà che si sviluppa lungo le linee di faglia delle identità culturali e religiose; oggi, esso metterebbe di fronte il gruppo di paesi che si riconoscono storicamente nella cultura occidentale, laica, avanzata, tecnologica e democratica, ad altri gruppi di paesi che non si riconoscono in essa ed anzi, rispetto ad essa, sostengono modelli culturali differenti, anche se usano i prodotti e i processi della modernizzazione tecnico scientifica avviata dall’occidente. L’immaginario dei fautori dello scontro di civiltà è popolato di regimi totalitari caratterizzati dall’assenza di democrazia, dai diritti negati alle donne e alle minoranze, da tradizioni e costumi ancestrali inaccettabili, dal tribalismo nelle relazioni, dal dominio dei clan, e, spesso, dall’egemonia della sfera religiosa nelle istituzioni pubbliche. Un mondo di diritti conculcati, di irrazionalità pronta ad esplodere, di arretratezza rispetto al mondo occidentale che rappresenterebbe la punta più avanzata del progresso e dello sviluppo. Da un lato dunque le avanguardie di quello che dovrebbe essere il futuro e dall’altro le orde oscure di coloro che questo futuro non accettano in nome di principi irrazionali e di tradizioni insostenibili.
Gli interpreti più rozzi dello scontro di civiltà contrappongono i popoli costituiti da individui liberi, che credono nella scienza, nella laicità, nello stato di diritto, alle masse etero-dirette, indifferenziate, propense alle dittature e alle leggi tribali, dove bambini e donne sono sottomesse e gli omosessuali perseguitati. Si riconoscono in queste contrapposizioni estreme echi delle paure legate al tramonto dell’occidente che si intrecciano con la pretesa di una modernizzazione globale coincidente di fatto con la occidentalizzazione forzata del mondo anche attraverso l’esportazione violenta della democrazia.
2. Qualcuno sostiene che nel bel mezzo di un occidente radicalmente secolarizzato siamo paradossalmente invischiati in una guerra di religione, che contrappone l’occidente cristiano ad un Islam aggressivo assolutamente determinato a conquistare ad ogni costo nuovi territori e a sottomettere nuove popolazioni; una religione aggressiva e violenta di fatto non integrabile nell’occidente. Martiri dell’una e dell’altra parte vengono esibiti a prova della violenza irriducibile dello scontro per le radici del quale si rimanda all’epoca delle crociate e alle lotte dei regni europei del XVI secolo contro l’espansionismo islamico. Da un lato dunque si troverebbe una religione basata sull’amore universale e la tolleranza, che avrebbe dato fondamento e dignità alla democrazia e ai diritti umani sanciti nelle costituzioni e garantiti per ogni persona, e dall’altro, una religione irriducibile e fanatica che sarebbe basata sulla prevaricazione e la violenza. Qualcuno si spinge oltre e sostiene, in tutta buona fede, che sia in corso una guerra escatologica, lo scontro finale tra bene e male, preconizzato da profezie secolari se non millenarie. Qualcun altro di fronte a questi usi della religione non esita peraltro a condannare le religioni tout court come causa prima di conflitto e di sofferenza.
L’insidia di posizioni fondate sullo scontro religioso o sullo scontro di civiltà è direttamente proporzionale alla loro apparente semplicità che trova ampio sostegno in certa rappresentazione mediatica; essa fa leva su emozioni e paure profonde che a onor del vero non sempre sono del tutto ingiustificate.
Accanto a queste, estreme, circolano tuttavia altre interpretazioni che utilizzano concetti differenti per giungere a conclusioni molto diverse se non opposte.
3. Qualcuno sostiene che siamo all’interno di un conflitto geopolitico che assume la forma di una guerra economica e finanziaria, nel quale pochi attori planetari si muovono per catturare risorse che consentano loro di conquistare e mantenere il predominio, ostacolando allo stesso tempo le capacità operative degli avversari. Si tratterebbe di un gioco strategico che ha per posta – in funzione degli attori coinvolti – ora un dominio regionale, ora il dominio planetario; esso si avvale di ogni mezzo per perseguire i propri scopi: politica, finanza, lotta armata, terrorismo, tecnologia, religione, diventano specifici fattori da integrare nelle strategie di dominio, semplici strumenti che vengono usati nel perseguimento dello scopo; soprattutto il sistema dei media diventa importante poiché informazione e disinformazione sono strumenti indispensabili che consentono di orientare l’opinione pubblica ottenendone sostegno pro causa e contro avversario. In questo ambiente conflittuale protagonisti diretti non sarebbero mai i cittadini e i loro rappresentanti: lo sono piuttosto in ordine crescente d’importanza, le poche potenze globali e qualche rara potenza regionale, le grandi multinazionali, soprattutto le istituzioni finanziarie come il FMI, le banche centrali, i grandi fondi pensione e d’investimento. Sarebbero queste le forze che perseguendo i loro piani di dominio causano i drammatici problemi che rischiano di travolgere le società europee.
4. Qualcuno sostiene che sia in corso una guerra di classe globale, che taglia trasversalmente etnie, popoli, religioni e nazioni; una guerra che in tutto il mondo e in quasi tutte le nazioni sta drenando enormi ricchezze dalle classi più povere e dalla classe media, che fu la colonna della società industriale, spostandole verso i ceti più ricchi e dominanti che stanno al vertice della piramide sociale dell’intera popolazione mondiale. Una rivolta, se si preferisce, delle elites finanziarie ed economiche dominanti contro la democrazia, che proprio attraverso la presenza di disordine e caos riescono ad imporre sempre più norme e regole che limitano gli spazi di libertà demolendo al contempo una alla volta le conquiste dello stato sociale.
Una guerra che starebbe garantendo enormi profitti alle imprese (molte delle quali occidentali) che producono e commerciano armi e al contempo causa fughe e migrazioni bibliche che si abbattono sull’Europa con la furia incontrollabile di uno tsunami. Lo scambio forzoso ed iniquo armi per immigrati mette in contrapposizione questi ultimi proprio con le classi impoverite dallo stesso sistema che direttamente e indirettamente fomenta le guerre dalle quali i primi tentano di sfuggire.
Ora, è fuor di dubbio che la complessità della situazione attuale sia tale da non consentire alcuna facile semplificazione. Sicuramente lo stato attuale dipende da variabili demografiche, sociali, culturali ed antropologiche che variamente si intersecano con le strategie geopolitiche, economiche e finanziarie messe in campo da una pluralità di attori noti e ignoti, spesso in barba alle regole dichiarate della retorica democratica. In tale situazione ogni notizia resa pubblica e pubblicamente sostenuta entra a far parte di un gioco di influenze che finisce per sostenere l’interesse di qualche attore strategico i cui fini possono essere intuiti ma non confermati se non, forse, a giochi conclusi da lungo tempo. L’intero sistema di informazione è parte di questo gioco di influenze finalizzato a sostenere interpretazioni e visioni coerenti con le strategie geopolitiche degli attori dominanti. Inoltre qualsiasi evento anche casuale che entra nel circuito mediatico si presta ad essere interpretato e fatto proprio dagli attori interessati a prescindere dalle sue vere cause e motivazioni; queste interpretazioni sono tanto più più rozze e violente quanto minore è la capacità di interpretare la complessità da parte dei mittenti e dei destinatari dei messaggi. Questa esplosione di informazioni è una situazione ideale per alimentare l’insicurezza e la paura, la manipolazione dell’opinione pubblica, il complottiamo e ogni forma di populismo.
Si colgono i limiti di una globalizzazione che non porta benessere ma semina troppo spesso morte e paura; forse non sbagliano neppure coloro che vedono al fondo della crisi un malessere interiore, indice di un modello di vita troppo materialista e consumista che per poter essere difeso deve avere di fronte un nemico ritenuto ancora peggiore. Non a caso coloro che sostengono le ragioni circa l’esistenza di una guerra di religione sono in conflitto con coloro che sostengono le ragioni della guerra di classe; e coloro che sostengono le ragioni della guerra economica sono in aspra lotta con coloro che sostengono le ragioni dello scontro di civiltà.
Che fare dunque?
La presenza di posizioni così diverse attesta quantomeno una pluralità di vedute, che, se poste in sana relazione, potrebbero far emergere idee e strategie per affrontare in modo migliore una situazione che appare sempre più incontrollabile. Per questo tuttavia serve quella franchezza che il dominio del politicamente corretto ha squalificato e nascosto dietro la censura delle parole; serve l’esercizio di quella razionalità discorsiva che non sembra un attributo di quanti, per limiti o per calcolo, cavalcano le semplificazioni ideologiche e populiste.
Serve maggiore conoscenza e maggiore discernimento, perché il periodo di transizione che si sta attraversando ha scosso dalle fondamenta una realtà consensuale che troppi avevano data per scontata.