Il grande gioco dei bisogni (3): la sfida della tecnologia

Posted by on 27 Luglio 2015 in Blog | 1 comment

Il grande gioco dei bisogni (3): la sfida della tecnologia

Macchine pensanti che si muovono in ambienti intelligenti colloquiando fra di loro, nanomacchine e protesi integrabili nel corpo, biomacchine ed elaboratori dalle incredibili potenzialità di calcolo, miliardi di persone connesse tramite i loro dispositivi mobili. Una popolazione mondiale di oltre 7 miliardi, flussi migratori senza precedenti, tassi di natalità e mortalità straordinariamente sbilanciati, oltre metà della popolazione mondiale che vive in grandi aree urbane e megalopoli. Viviamo in un mondo in rapidissimo cambiamento che non ha precedenti nella storia.

Questo stato di cose pone sfide straordinarie all’ambiente, alle società, alle culture, alle istituzioni, alle imprese, alle famiglie e ad ognuno di noi: queste sfide stanno al centro di cambiamenti epocali di cui ancora non si coglie la portata.  Si sta materializzando la terza rivoluzione industriale con un impatto che non sarà inferiore alle precedenti: la struttura fisica portante di questa rivoluzione è rappresentata dalle grandi infrastrutture tecnologiche che connettono miliardi di persone e che stanno collegando biliardi di oggetti con conseguenze radicali per la logistica, la gestione  dell’energia, l’informazione, i trasporti, la conoscenza e la ricerca scientifica; l’automazione e la robotica sostenute dall’intelligenza artificiale ne sono componenti essenziali; internet ne è la  faccia più conosciuta.

Tuttavia gli indubitabili progressi tecnologici che hanno accompagnato lo sviluppo delle nostre vite si manifestano in un quadro demografico esplosivo, in una società largamente mossa da desideri indotti dall’industria della manipolazione di massa, in un ambente dominato da una ideologia economica – il neoliberismo – che si pone come unica alternativa, dove assolutamente tutto è merce, dove il mercato è celebrato e sacralizzato, la finanza è dominante e le conquiste dello stato sociale, cresciuto insieme alla vecchia società industriale, sono in via di costante demolizione.

Le nuove tecnologie digitali che sono uno degli aspetti che stanno al centro di questa rivoluzione sono ormai in grado di replicare con successo molti processi cognitivi (vale la pena ricordare che deep blue il super computer IBM sconfisse il campione del mondo di scacchi Kasparov già nel lontano 1997) sostituendo di fatto il lavoro umano in ambiti che sembravano fino a pochi decenni fa al di fuori della portata delle macchine, relegati semplicemente all’immaginazione della fantascienza. Formidabili algoritmi sono in grado di anticipare le nostre preferenze d’acquisto (come ben sa chiunque faccia compere on line); altri algoritmi sono in grado di tradurre in valore sonante qualsiasi tipo di informazione, per quanto stupida sia, purché immessa in qualche modo nella grande rete.

Questo colossale sistema tecnologico sempre più vasto ed integrato rappresenta armai la struttura portante di un nuovo ambiente di vita dove i bisogni umani non potranno che avere una nuova rappresentazione ed un diverso statuto. Nel mondo digitale riemergono a pieno titolo questioni fondamentali sullo statuto della realtà che obbligano a ripensare gran parte delle categorie che fino a poche generazioni fa il senso comune dava per scontate.

In questo ambiente anche il ruolo del lavoro  è destinato a cambiare radicalmente e, con esso, le strategie che le persone potranno mettere in campo per ripensare e inventare il lavoro, trovarlo e rimanere occupate in un epoca di macchine super intelligente. Sempre più lavori infatti saranno svolti dalle macchine e le persone dovranno affrontare questo stato di cose con un repertorio di mosse diversificate ed inattese che sappiano tradurre in opportunità ciò che molti considerano semplicemente un processo di sostituzione dell’uomo da parte della macchina.

Vivere in questo ambiente tecnologico (nascente) obbliga a riflettere in modo approfondito sulle basi date per scontate sulle quali si regge la società e, in ultima istanza, l’identità stessa delle persone: esso mostra infatti qualità emergenti imprevedibili, comportamenti bizzarri, fragilità inattese, inerzie e accelerazioni improvvise, strani rischi e inattese opportunità che rendono obsoleto il vecchio modo di pensare che ha fatto il successo della società industriale. In questo ambiente tecnologico in rapida evoluzione la capacità di interpretazione e di costruzione di nuovi significati diventa sempre più importante sia a livello personale che collettivo. In questo ambiente fortemente competitivo le organizzazioni (in primis le imprese) stanno imparando nuove strategie di innovazione indispensabili per la sopravvivenza e la prosperità: alcune si muovono ancora partendo dall’analisi dei bisogni degli utilizzatori (clienti o utenti), altre sono guidate dagli sviluppi rapidissimi della tecnologia che cercano di applicare ai loro settori d’interesse, altre ancora concentrano l’attenzione sull’innovazione dei significati che possono essere associati a nuovi servizi e prodotti.

Anche nel mondo dei servizi e, in particolare, dei servizi sociali e sanitari – dove il bisogno sembra avere ancora una dimensione chiara ed accessibile – la tecnologia gioca un ruolo sempre più marcato e, in combinazione con questa, la dimensione del significato diventa sempre più importante; proprio in questi ambiti possiamo osservare direttamente e, a volte, avere esperienza diretta di alcune dinamiche di interazione tra persone, macchine, organizzazioni e reti social e comprendere quanto sia importante la dimensione del significato. E’ ad esempio il caso degli anziani, un settore della società in grandissima crescita nei paesi ricchi per l’allungamento dell’età media e l’innalzamento della speranza di vita, dove si stanno concentrando grandi risorse private attratte da un mercato in forte crescita malgrado i tagli ai fondi pubblici che avevano garantito finora la copertura di gran parte dell’offerta. Già ora il mercato offre una pluralità di prodotti evoluti che sono in rapidissima crescita: tecnologie domotiche,  ausili alla mobilità, protesi intelligenti, sistemi di tele assistenza e soccorso…

La tecnologia TOF ad esempio offre una ulteriore contributo a queste soluzioni rendendo possibile un drastico salto di qualità rispetto ai noti sistemi di video e tele sorveglianza; le telecamere dotate di questa tecnologia, installate in un ambiente di vita,  potrebbero infatti acquisire automaticamente dati in base ai quali mappare in modo costante e sistematico i comportamenti della persona anziana riconoscendo quelli a rischio e consentendo per così dire un monitoraggio sistematico dello stato dell’utente; una simile opportunità per quanto teorica mette bene in risalto opportunità, problemi e contraddizioni per molto versi caratteristici delle nuove tecnologie digitali che in pochi anni invaderanno le nostre case e gli edifici pubblici. Da un lato infatti esse sono in grado di migliorare molte procedure di lavoro semplificando i processi di assistenza, recuperando risorse umane impegnate in lavori di monitoraggio e controllo a scarso valore aggiunto, che possono così dedicarsi al cuore del lavoro di assistenza e relazione sociale con l’utente, consentendo anche notevoli risparmi economici. Dall’altro, pur offrendo ottime opportunità alle famiglie che ne fanno uso, espongono sicuramente gli utenti diretti ad una invasività richiesta da altri (servizi sociali e sanitari e care giver ad esempio)  impossibile anche a pensarsi prima dell’avvento delle tecnologie digitali,

L’esempio di queste tecnologie TOF applicate agli anziani che risiedono presso le proprie abitazione ricevendo servizi di assistenza domiciliare illustra una modalità per certi versi caratteristica di penetrazione e diffusioni di tecnologie digitali considerate invasive: essa prende avvio proprio da bisogni percepiti come reali (rischio di degrado della capacità di autosufficienza degli anziani che richiede costante monitoraggio; timore da parte dei familiari dell’anziano) e da problemi definiti come concreti (costo dei controlli sociali e sanitari derivante da procedure di lavoro che richiedono la presenza di  operatori umani) che possono essere affrontati attraverso un uso intelligente delle nuove tecnologie.

Tutt’altro che prevedibile è però l’impatto sociale di queste applicazioni: esse possono tanto sostituire lavoro (o più pessimisticamente distruggerlo), quanto creare nuove opportunità (liberare tempo e risorse per consentire una maggiore concentrazione sugli aspetti relazionali tipicamente umani caratteristici della relazione di aiuto); possono tanto rafforzare le reti sociali (inserendo un nuovo canale di comunicazione in tempo reale) quando distruggerle innestando meccanismi di de responsabilizzazione delle famiglie (tanto se ne occupa la tecnologia); possono sia rafforzare le capacità delle persone sotto osservazione (fornendo ad esempio informazioni dirette per l’autodiagnosi e il miglioramento) sia demotivarle ulteriormente mettendone in risalto le incapacità.

Tra tecnologia e bisogno ridefinito all’interno del nuovo ambiente tecnologico si apre uno spazio di senso e di interpretazione che lascia intravvedere la possibilità di innovazioni sociali potenzialmente radicali…

 

One Response to “Il grande gioco dei bisogni (3): la sfida della tecnologia”

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    Catina Balotta says:

    In linea generale è così. Se ci riferiamo ai lavori di cura, in parte è così. Le nuove tecnologie sono raffinate e, almeno in alcuni casi, invasive. In questi ultimi anni è cresciuto in maniera consistente, il numero delle start up tecnologiche. In modo particolare si è verificata la fuoriuscita dalle nostre università di tecnici iper-specializzati che, facendo il loro lavoro, hanno prodotto ausili telematici/informatizzati di indubbio valore, facile utilizzo, sicura diffusione.
    Il mondo dei servizi alla persona è fatto, appunto, di persone e la “cura” si basa su una relazione umana di reciprocità. Cioè si basa sul rapporto tra due persone, anche se la prossimità di chi cura e di chi è curato sfocia a volte in strane alchimie che possono portare sia ad un accrescimento reciproco (delle persone coinvolte nella relazione) sia al suo contrario.
    Non mi piace la tecnologia che entra nelle case, senza essere voluta o richiesta, ma semplicemente implementata per rispondere a un bisogno a cui rispondono le macchine (perché costano meno) e non le persone. In questo cambio, economicamente sostenuto e finanziarmente accettabile, si perde la relazione umana di “aiuto e cura” così come l’abbiamo sempre pensata e gestita. Non credo che questo sia un bene. Come si fa ad affezionarsi e a voler bene a una macchina?, e se questo succede è una “buona cosa” per le singole persone e per la società?.
    Mi viene in mente “Insciallah”, uno dei grandi libri di Oriana Fallaci, dove i militari in guerra si innamorano di una bambola di gomma. Un libro che ha precorso i tempi, da leggere.

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