Un valutatore senza memoria non è un valutatore.

Posted by on 24 Gennaio 2019 in Blog | 0 comments

Un valutatore senza memoria non è un valutatore.

La pratica della valutazione riguarda potenzialmente ogni ambito e settore dove si sviluppa l’attività umana organizzata; poichè essa si traduce in giudizi, suggerimenti e raccomandazioni che possono dare corso a decisioni anche molto impegnative e non sempre condivise da tutti i soggetti che ne subiscono le conseguenze essa è anche un eccellente campo di applicazione per l’etica.

La pratica valutativa si estende ormai a molti settori e si usa in molti contesti diversi, applicando metodologie a volte nuove e a volte più consolidate. Tutto ciò dipende dalla bravura dei valutatori ma anche dalle risorse economiche  e dal tempo disponibile.  

Eppure aldilà del tecniche e della loro contestualizzazione, esistono alcuni principi di etica comportamentale che vanno sempre tenuti presenti. 

1) Il valutatore non deve avere alcun interesse nell’esito della valutazione. Deve inoltre essere libero di valutare al meglio utilizzando le metodologie che meglio si adattano al caso.  Ad esempio: se parliamo di valutazione ex-ante non ci deve essere alcun interesse a far sì che alcuni progetti raggiungano punteggi qualitativi più elevati di altri.  Per questo le commissioni di valutazione sono “terze” rispetto al contesto e al mandato. Quando un valutatore afferma una terzietà inesistente si mette in una posizione rischiosa e soggetta a contromisure. 

2) Il valutatore che lavora in team non deve aver alcun pregiudizio nei confronti delle persone con cui lavora. E’ necessaria una stima reciproca e la convinzione dell’onestà dell’operato di tutti. Poi ognuno ha la sua lista di valori e i suoi riferimenti teorico/metodologici preferiti. Ma non è questo che deve inficiare il lavoro e mettere in dubbio la bontà del processo in essere. 

3) Sempre di più per attività valutative di tipo complesso si usano delle commistioni di metodi e tecniche che, sapientemente combinate, permettono una visione multi-prospettica e  in progress dell’evento studiato. Si pensi alle tecniche multicriteria, a quelle basate sul giudizio di esperti, a tutte le valutazioni di parte seconda. L’importante è che vengano dichiarate le premesse e le idee-portanti che hanno fatto decidere per quell’impianto di valutazione piuttosto che per uno alternativo. La concordanza sulle modalità prescelte  (espressa da tutti i valutatori) garantisce la bontà del modello da implementare, a patto che tutti i valutatori godano della stessa considerazione, legittimità e terzietà. 

4) A questo proposito mi sembra fondamentale che all’interno del team di lavoro non si instauri un rapporto gerarchico tra valutatori (docenti universitari versus consulenti, ricercatori senior versus junior, project manager versus responsabili di line, etc). E’ fondamentale che ognuno sia libero di esprimere il proprio parere senza preoccupazioni di sorta. Spero sempre che ognuno, consapevole del suo ruolo e delle responsabilità agita, lavori con cognizione di causa e trasparenza. Ovviamente diamo per scontato le competenze legate al ruolo che debbono essere acquisite e esperite nella giusta misura e nel giusto tempo. 

5) La valutazione è quindi un processo di democrazia partecipativa che coinvolge in primis i valutatori come soggetti competenti di un iter di scoperta e di conoscenza che può portare a innovazione e cambiamento. Democrazia che deve riguardare le modalità di lavoro e le procedure adottate dal team. Che deve riguardare il rispetto reciproco aldilà del ruolo e che abbraccia la lettura dei risultati (senza alterazioni e pregiudizi di sorta). La democraticità dei percorsi valutativi non riguarda quindi solo il fatto che verificando dei risultati si persegue una riflessione basata su concretezza e confutabilità, ma anche il fatto che la democraticità del percorso è garantita dalle modalità di lavoro che il team dei valutatori adotta e ancor di più, dalla base di rispetto che anima l’agire valutativo e umano dei soggetti competenti ingaggiati. 

6) Penso che sia fondamentale l’autoriflessione che ciascun valutatore può e deve fare in maniera sistematica. Sul lavoro svolto, sulle modalità adottate, sul rispetto dovuto e ricevuto, sulla gentilezza. Quando mancano alcune di queste dimensioni bisogna chiedersi se si può far qualcosa per cambiare la situazione o se non resta che provare a cambiare contesto (occupazionale, di team, di setting …) nella speranza che l’agire democratico sia contagioso e possa attecchire in contesti in cui non esiste. Bisogna fortemente volerlo, poi si vedrà. 

7) Inoltre direi che siccome il progresso esiste e tutto cambia col tempo, l’aggiornamento è fondamentale per un lavoro come quello dei valutatori che ha un forte legame con la “ricerca applicata” e dipende dalle scoperte più recenti e dalle tecniche (teoriche e basate su strumentazione) che si possono approntare giorno dopo giorno. Oggi la tecnica mette a disposizione della conoscenza supporti nuovi e ed efficienti. Il valutatore li deve conoscere e usare, senza perdere la consapevolezza dei loro limiti. 

8) Infine direi che siccome di “storia” siamo fatti e soprattutto da una storia veniamo, è necessario conoscere gli antenati dei processi valutativi, i loro risultati e i loro errori. Questo dovrebbe aiutare a sbagliare di meno e a ricordare che anche nel filo rosso che unisce approcci, ambiti di intervento e storia di azioni e metodi, c’è una componente di eticità dura come una pietra che le scalfitture passate e presenti non sono mai riuscite del tutto ad erodere. Per fortuna dei valutatori e, soprattutto, dei valutati. 

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