Valutare contesti e relazioni con pazienti oncologici. 6 punti di riflessione

Posted by on 30 Luglio 2017 in Blog | 0 comments

Valutare contesti e relazioni con pazienti oncologici. 6 punti di riflessione

Quello che la voce comune chiama tumore rappresenta una delle fonti di preoccupazione più grande per singoli e famiglie. L’alta e crescente incidenza nella diagnosi di questa patologia e l’aumento dei casi che sembrano risolversi positivamente non serve per tranquillizzare i più ne per gettare migliore  luce sulla genesi e le cause di queste malattie. Le voci si susseguono, le cosiddette prove scientifiche esposte dai media non concordano, gli scandali e il complottismo dilagano in un mondo dove sembra prevalere sempre più spesso l’interesse della finanza sulla salute delle persone. Tuttavia quando la malattia colpisce si entra in un mondo diverso fatto di dubbi, di nuove relazioni, di discorsi che spesso imbarazzano, di linguaggi, di paure, di ansie e, forse, di nuove possibilità di apprendimento.

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Detto che i contesti in cui “vive” un paziente oncologico sono tanti, penso possa essere utile provare ad elencarli e a individuare gli elementi salienti che possono facilitare “benessere” anche per persone in questa difficile situazione.

1 – Il primo ambito è ovviamente quello sanitario fatto di ospedale, ambulatorio, centro prelievi, pronto soccorso. Sono tre i cotesti in cui si esplicita la qualità della risposta istituzionale per eccellenza: – il rigore e il consolidamento dei protocolli di cura – la preparazione e l’esperienza del personale sanitario – l’ “umanità” del personale.

2 – Il secondo ambito è quello domestico fatto di una camera da letto, bagno, soggiorno e preferibilmente un terrazzo e un cortile. In questi ambienti passa la quasi totalità del suo tempo il paziente oncologico. E’ quindi indispensabile che l’ambiente sia adeguato alle sue esigenze. Ad esempio con un divano comodo davanti alla TV, coperte e cuscini per cambiare posizione, telecomando di scorta se si rompe il primo, disponibilità di canali che trasmettono programmi “decenti” anche ad orari improbabili. Spesso ci sono mattine da riempiere senza lavoro e senza poter uscire da casa perché le difese immunitarie sono troppo basse (si sa che la chemio distrugge globuli e piastrine insieme alle cellule tumorali).

3 – Il terzo ambito è quello delle abitazioni di amici e parenti. A volte il paziente oncologico non ne può più di stare segregato in casa e quindi prova ad uscire. Questi sono momenti importantissimi perché sono gli unici che garantiscono un minimo di vita sociale e comunitaria a chi sta attraversando questo periodo sfigato. Le abitazioni che accolgono malati devono essere sanificate (ad esempio il bagno), riscaldate/rinfrescate a seconda della stagione ed è sempre meglio che ci sia a disposizione un divano comodo. I pazienti chemioterapici devono bere molto e amano mangiare banane e gelato, perché riescono a sentirne il sapore. Anche una lattina di coca-cola ogni tanto e la pizza hanno il loro fascino per lo stesso motivo. Non si può prendere troppo sole e non si possono fare sforzi fisici, quindi una accoglienza tranquilla e confortevole è auspicabile.

4 – Il quarto ambito è quello dei luoghi pubblici che però possono essere frequentati solo quando “il sangue sta abbastanza bene”. Non è “bello” non salutare una persona con la mascherina e senza capelli. La si fa sentire più emarginata di quel che già è. Saranno ammalate, ma sono comunque persone, con le stesse aspettative e le stesse preoccupazioni degli altri. Quindi niente commiserazione, occhi lucidi e stani discorsi su parenti e amici che sono guariti e stanno “benissimo” (benissimo?) o al contrario “quel poverino che è morto” (“ma a te sicuramente non andrà così” ???). E’ meglio parlare di viaggi, vacanze, bambini, concerti, matrimoni, spettacoli, sport … insomma tutto ciò che può riportare alla normalità, non viceversa.

5 – Con il quinto ambito passiamo da luoghi fisici a luoghi non geo-localizzati ma fondamentali. Uno spazio che i pazienti oncologici detestano è quello deiluoghi comuni sul loro stato. Meglio evitare affermazioni del tipo:

“Ma stai benissimo, sei più bella/o di prima!”;

“Però non pensavo che senza capelli si stesse così bene, e poi con questo caldo si sta da Dio … quasi che me li faccio tagliare anche io….”;

“Ma non si direbbe proprio che tu abbia il cancro!”;

“Ma poveretto così giovane, sei stato sfortunato.”;

“Si bè hai il cancro, ma vedrai che non è una cosa grave, ormai guariscono tutti”;

“La Chemio? Ma è una cura come tante altre”;

“Che fortuna, ti ricresceranno dei capelli bellissimi e ricci”;

“Vabbè cosa ci vuoi fare … prima o poi moriamo tutti”;

“ Quando vedo delle persone senza capelli mi si ghiaccia il sangue, lo sanno tutti come va a finire”;

“Io sono partecipe della tua sofferenza … anche se non si vede”

“Guarisci di sicuro, resterai solo un po’ più grasso, sono le cure che gonfiano”

“Sei fortunato che hai una bella casa dove stare”.

Non si contano le affermazioni stupide che fanno accaponare la pelle al povero paziente oncologico che decide così, di non uscire di casa.

6 – Il sesto non-luogo è quello delle relazioni importanti. Sono fondamentalmente due. Quella col caregiver (colui che si prende cura di …), quella affettiva primaria con parenti stretti e amici. Forse la più difficile è quella amicale, ma è anche la più arricchente. Durante la terapia si scoprono chi sono i veri amici. Sono quei pochi che riescono a vincere le resistenze fisiche, psicologiche e nervose e decidono di affrontare la situazione. Invece di passare una bella domenica nuotando, comperano un libro, delle caramelle e magari un cuscino nuovo e vanno a trovare l’amico ammalato. A questo punto può succedere di tutto, compreso il fatto che il paziente non voglia vedere nessuno, si vergogni della situazione in cui si trova, pensi di non avere argomenti di conversazione interessanti, si senta inadeguato e perso. Direi che tutto questo può essere superato con un po’ di coraggio e determinazione. La conversazione si adegua, la complicità si fa più sottile e la soddisfazione diventa reciproca.

Ma in questo processo le risorse che si devono mettere in gioco sono tante, impegnative e necessitano di essere continuamente rigenerate. L’empatia che è la capacità di mettersi nei panni di … fino ad avere la sensazione di provare quello che prova l’altro. Questa è la vera risorsa in gioco. Una risorsa molto personale e per questo estremamente preziosa che permette di superare il pregiudizio e il qualunquismo e di entrare in una relazione “diversa” ma non per questo malata.

L’arricchimento può essere reciproco, la via per la scoperta di un nuovo “noi” e con questo di un nuovo “io” e un nuovo “tu” sono al massimo delle loro potenzialità. Di fronte a una minaccia di morte si riscopre l’altro come risorsa, come l’unica risorsa possibile contro la paura e il buio. I nuovi amici portano la luce.

Può sembrare strano e invece è la normalità. La riscoperta dell’altro attraverso la condivisione della sofferenza è una via matura per arricchirsi, per diventare persone adulte con un bagaglio di esperienze umane importanti. Queste esperienze sono in grado di dare senso a questa nostra vita che non sa saziarsi di oggetti e immagini ma che diventa autentica attraverso la scoperta di emozioni e sentimenti. Credo che la sfida sia accettabile e consigliabile a patto che “l’amico” sia davvero pronto al cambiamento, a un cambiamento che coinvolgerà in primis lui, il suo sentire e anche il suo agire. Non meravigliamoci di vedere comportamenti strani e nemmeno di vedere stupidaggini. Anche queste ultime, se vissute in un contesto di significato che prende forma e sostanza dalla condivisione, sanno riempire il vuoto che la paura della morte produce.

Siamo tutti qui in lotta contro la morte, contro tutti i suoi tentacoli e contro tutti i tumori singoli e collettivi che contribuiamo a formare e a distruggere in una guerra contro il tempo che vede lontano il baluardo della vita.

Penso che la valutazione come insieme di pratiche possa avere molto da dire. Le tecniche qualitative ci hanno già detto molto, i lavori sugli outcomes sanitari stanno diventando all’ordine del giorno, ma la capacità di valutare la bontà di una relazione che cambia il senso della vita è compito della valutazione? E se è così, qual è la strada?, in che modo?, con quali tecniche? Credo davvero che per pensare di sopravvivere alla sofferenza che alberga in ognuno di noi sia necessario la messa in cantiere di tutte le strategie cognitive che conosciamo. Tra queste anche la valutazione, come pratica che si rinnova e che può trovare nella relazione col valutato una fonte di apprendimento e maturazione. Una sfida? Ci stiamo giocando il benessere di molte persone se non la sopravvivenza della nostra specie. Quindi accettiamo la sfida, con determinazione.

 

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