Valutare servizi difficili

Posted by on 19 Gennaio 2015 in Blog | 2 comments

Valutare servizi difficili

La valutazione dei servizi è ormai un terreno abbastanza consolidato quanto lo è quello della valutazione dei programmi e dei progetti. Allo stesso modo sono abbastanza consolidati gli standards  attraverso i quali la valutazione si esplicita in prassi operative e modalità comunicative. Ci sono però dei casi  “limite” in cui  ciò che è consolidato non sembra funzionare bene o, comunque, lascia spazio a molti interrogativi.

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Uno di questi casi è legato alla metodologia di lavoro: non si hanno abbastanza informazioni, le informazioni sono poco attendibili, è ipotizzabile una distorsione dei dati, non ci sono gruppi di controllo.

Un secondo caso è quando ciò che la committenza vuole “sentirsi dire” è molto diverso da ciò che la valutazione impone come risultato.

Un terzo caso è quando il servizio nel quale si valuta è un servizio “difficile”; per difficile intendo un servizio che tratta utenti particolarmente compromessi: in terapia per tumori, in dialisi, con malattie genetiche o cronico-invalidanti, servizi per malati psichiatrici gravi.

In tutti questi  diventa fondamentale accanto alla techne la sensibilità (prima umana e poi professionale) del/dei valutatori per due ordini di motivi:

– innanzitutto l’esigenza di decidere se vale o no la pena di intraprendere attività di valutazione;

– in secondo luogo la necessità di scegliere quali siano le modalità di valutazione accettabili perché tale attività risponda comunque ai parametri scientifici della ricerca sociale applicata, legando a questi un giudizio sulla “bontà” di ciò che si va  studiando.

Si scivola altrimenti in attività descrittive molte legate ai pregiudizi dei valutatori che poco hanno di rigoroso e che rischiano di inquinare il buon nome di questa professione che, di suo, continua ad essere molto seria.

Esistono approcci diversi alla valutazione che forse possono servire da “faro” in situazioni come queste e che presi “in toto” oppure in forma “spuria/combinata” orientano l’agire valutativo.

Negli approcci sperimentali ad esempio, la valutazione si fonda su una teoria della spiegazione causale basata sul principio della successione nel tempo fra causa ed effetto. Utilizza il metodo sperimentale cercando di tenere sotto controllo le variabili intervenienti. Funziona particolarmente bene per programmi educativi o di cura/sanitari.

Negli approcci pragmatisti l’agire si basa sull’attenzione al tema dei valori, sull’importanza che assume l’utilità della valutazione, sul relativismo. Funziona particolarmente bene per i servizi innovativi.

Nei modelli costruttivisti ci si focalizza sulle modalità con cui un programma è attuato (i criteri di opinione derivano dalle opinioni dei vari stakeholder). E’, a parere di chi scrive, particolarmente utile quando si va verso l’implementazione di nuove politiche sociali e sanitarie (ma non solo).

Inoltre si può pensare, su basi utilitaristiche, anche ad un incrocio possibile dei vari modelli. Credo che proprio questa “sensibilità utilitaristica”, che permette un incrocio tra modalità e modelli possibili, renda possibile  una valutazione di contesti difficili, in cui:

– non ci sono tutte le informazioni che si vorrebbero, ma ce ne sono a sufficienza;

– non sono applicabili tutte le tecniche che si considerano standard ma lo sono almeno alcune;

– il contesto appare estremamente delicato per la delicatezza dei temi e la sofferenza umana ad essi associata;

– non si raggiungono i risultati valutativi previsti dalla committenza ma emerge almeno un risultato (magari non previsto in partenza) che soddisfa comunque e invoglia a rifinanziare il progetto/servizio.

Sta nella competenza e nella sensibilità del valutatore organizzare tutto questo facendo emergere quelle strategie valutative che siano comunque in grado di creare valore aggiunto: dando qualche informazione in più al committente, qualcuna agli stakeholder, qualcuna agli utenti e famigliari, fornendo garanzia  che quel poco/tanto che si è riusciti a “dire” è “vero” sia secondo il “senso comune” che in base al più rigoroso vocabolario “tecnico-scientifico”.  Parliamo cioè di un atto valutativo che dà informazioni credibili, che ha un minimo di utilità, che viene preso seriamente in considerazioni per il miglioramento.

Credo che ogni volta che una attività di ricerca sociale sa esprimere giudizi valutativi di una qualche utilità (magari per qualcuno degli stakeholder, non necessariamente tutti) vale comunque la pena di essere intrapresa.  Con la consapevolezza che ci si sta muovendo su un terreno “limite” che deve essere colonizzato da pratiche rigorose di ricerca valutativa applicata che cerchino di eludere:

– il riduzionismo situazionale;

– il riduzionismo metodologico;

– la difficoltà valutativa-umana (trovare valutatori, e prima persone, che si sentono di intraprendere questo cammino).

2 Responses to “Valutare servizi difficili”

  1. avatar
    Catina Balotta says:

    La valutazione a volte impone scelte difficili. Compresa la più esiziale: ci sono le condizioni per avviare un processo di valutazione rigoroso (nel senso di ligio ai paradigmi della ricerca sociale applicata) e sensato? Di fronte a tale domanda non tutti i valutatori professionisti arrivano alle stesse conclusioni. Io credo che una valutazione sensata la si possa sempre provare a fare … e se proprio non ci si riuscirà lo si dirà alla fine (“Questo lavoro dà poco valore aggiunto a ciò che già si sapeva). Ma azioni di ricerca ben fatte qualcosa hanno sempre da dire … basta trovare qualcuno che davvero vuole ascoltarle.

  2. avatar
    Bruno Vigilio Turra says:

    Concordo: quando si valuta, ci si trova immersi in un mondo concreto caratterizzato da vincoli ed opportunità, condizioni particolari, attese ed ambizioni che, in qualche modo, devono essere gestite. Si lavora sempre sotto vincoli di budget, di tempo, di legittimazione, di spazio, di carenza o ridondanza di informazioni, che indirizzano lo sviluppo e la qualità stessa del processo del valutare. Si lavora in un campo di relazioni dove ogni cosa che si fa e si dice ha degli effetti possibili sui quali è bene riflettere. Tutto questo è particolarmente importante proprio in quei servizi “difficili” dove il “potenziamento” (empowerment) delle persone (utenti, ma anche operatori coinvolti, care givers e familiari) dovrebbe essere una delle ragioni d’essere del servizio stesso. Ecco, il metodo, credo, dovrebbe essere scelto con un’attenzione particolare a questo tipo di esigenza…

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