“Bisogno” è una di quelle parole che sembrano avere un significato immediatamente chiaro; esso tuttavia si dissolve di fronte al primo tentativo di riflessione. Il termine bisogno si fonda infatti sul senso comune ed acquista colorazioni molto diverse a seconda del contesto e dell’epoca in cui è collocato. Di bisogno hanno parlato e parlano i riformatori sociali e gli imprenditori morali, ma di bisogno parlano anche tutte le imprese che producono beni e servizi. Di bisogno parlano i professionisti della salute e del benessere, i politici e i media, gli utenti dei servizi e i cittadini.
Di fronte a questo uso indiscriminato sembrano però mancare riflessioni aggiornate, sistematiche ed approfondite capaci di problematizzare il tema dell’analisi dei bisogni e di chiarire il concetto stesso di bisogno. Per alcuni il bisogno può essere definito come una condizione il cui soddisfacimento crea le premesse per una vita dignitosa senza arrecare danno permanente alla persona e consentendo lo sviluppo delle potenzialità umane; per altri il bisogno è semplicemente una mancanza oppure una pulsione interna che spinge all’azione. Di sicuro il bisogno è qualcosa che accomuna gli esseri umani e ne permette in qualche modo l’auto-riconoscimento. In che modo dunque affrontare un tema così complesso e controverso? Su quali basi impostare una corretta analisi dei bisogni?
I. Ciò che serve è innanzitutto una teoria dei bisogni umani che sia capace di affrontare l’attuale complessità; una tale teoria dovrebbe essere concretamente utilizzabile e potrebbe consentire di comprendere due cose fondamentali: il perché in quanto umani facciamo quello che facciamo; quali sono le condizioni minimali che un dato assetto sociale dovrebbe garantire a tutti sui membri. Nel secolo scorso la notissima quanto criticata teoria dei bisogni di Maslow aveva affrontato queste tematiche da una prospettiva motivazionale; successivamente e con un approccio più sociologico Gough e Dojal affrescarono una teoria critica dei bisogni umani che rappresenta anche oggi un punto di riferimento assolutamente importante. Più di recente Simon Hertnon ha proposto un modello psicologico decisamente meno ambizioso ma per taluni versi convincente e, forse, più vicino alla sensibilità tempi attuali; egli ipotizza che il sistema dei bisogni umani possa essere articolato in una spirale che, partendo dalle esigenze di sopravvivenza della persona e della specie, tocca i temi della felicità, della soddisfazione personale, della comprensione della natura e del significato della vita: in quest’ottica i bisogni umani fondamentali sarebbero i seguenti:
- Benessere fisico
- Benessere mentale
- Un ambiente sano e sicuro
- La possibilità di procreare o di limitare la procreazione
- L’avere il rispetto degli altri
- Avere autostima
- Apprezzare la vita e ciò che offre
- Fare buone azioni per soddisfare gli altrui bisogni
- Capire la natura e il significato della vita umana.
La rappresentazione spiraliforme di Hertnon stimola perché non ipotizza alcuna transizione obbligata tra un livello e il successivo come invece Maslow pensava, sostenendo in pratica che il passaggio da uno stato al successivo avvenisse solo quando il bisogno più basilare avesse avuto piena soddisfazione.
II. Accettando per buoni gli assunti di massima di questa teoria, primo fra tutti il fatto che il bisogno riguarda ogni persona umana, il problema centrale per le nostre società diventa quello di capire come soddisfare questi bisogni mettendo le persone e le comunità in grado di diventare per così dire “protagoniste del proprio destino”. In linea di principio nella nostra società sono possibili molte strategie che possono portare alla soddisfazione o alla liberazione dal bisogno; una persona può ad esempio affrontare ogni suo bisogno:
- acquistando beni tangibili, come potrebbe essere un farmaco, un alimento, un auto, una bicicletta, una casa;
- fruendo di servizi pubblici o privati, come ad esempio l’assistenza medica o la consulenza psicologica, il trasporto pubblico o uno spettacolo sportivo o cinematografico;
- godendo di beni e servizi derivanti da doni, opere caritatevoli, elemosine, donazioni o altro;
- partecipando direttamente ad attività private o comunitarie che non rientrano nelle prime categorie come ad esempio il volontariato, la produzione di beni per l’autoconsumo, l’associazionismo o altre forme imprenditoriali;
- con il godimento diretto o indiretto di beni comuni o collettivi, come l’acqua di un fiume, una sorgente, un bosco incontaminato, un paesaggio o l’aria pulita;
- attraverso attività che consentano lo sviluppo del sé e che possono comportare anche la reinterpretazione del bisogno, la scoperta di soluzioni personali innovative e il possibile riconoscimento di modi di vita alternativi.
III. Se tale interpretazione è vera o almeno credibile, ne emerge un quadro allo stesso tempo inquietante e stimolante. Stimolante poiché apre spazi di opportunità, di innovazione e di libertà rispetto ai modi attraverso cui affrontare il tema del bisogno. Inquietante perché mostra in trasparenza il dominio di un meccanismo sociale pervasivo che tende sistematicamente a trasformare la problematicità di ogni bisogno genuino in risposte preconfezionate che hanno sempre la forma di beni economici, siano essi beni materiali o servizi. A torto o a ragione, una certa prospettiva dell’economia è qui protagonista, poiché cattura e riduce la complessità dei bisogni trasformandoli in un gioco di domanda ed offerta: per l’economista ortodosso infatti, poiché vi è disaccordo tra produttori e consumatori sul chi abbia bisogno di cosa, il riferimento alla domanda è sufficiente. L’’idea di bisogno si riduce allora ad una preferenza condivisa fra molti individui e imposta come tale all’attenzione di chi governa e di chi produce. Secondo il ragionamento economico i beni e i servizi, purché disponibili, sono appunto i mezzi di cui l’uomo si serve per soddisfare questi bisogni.
Questo tipo di ragionamento certamente riconosce che ogni uomo ha differenti bisogni che non a caso sono acutamente e puntualmente classificati secondo categorie apprezzabili anche dal senso comune: ecco infatti contrapposti ai bisogni primari (che rispondono alle necessita fisiologiche e fisiche fondamentali) quelli secondari e relativi, collegati all’evoluzione economica, sociale, tecnologica e politica raggiunta da una società. Ecco descritti i bisogni individuali e quelli collettivi, quelli presenti e quelli futuri, quelli ricorrenti e quelli occasionali.
Il rifiuto di riflettere sulla natura del bisogno porta però a far coincidere la soluzione inventata (il bene o il servizio) con il bisogno stesso; da un lato dunque la risposta viene fatta coincidere con il bisogno e, dall’altro, lo trasforma in un desiderio che si può soddisfare attraverso una scelta all’interno di un mercato. A questa rinuncia corrisponde, all’altro estremo, il lavoro di legioni di esperti e professionisti il cui lavoro consiste esattamente nel costruire, legittimare e diagnosticare “bisogni” sempre nuovi.
Questa duplice pressione, offrendo soluzioni preconfezionate, rischia nei fatti di depotenziare e spogliare le persone delle loro competenze e riduce l’insieme delle soluzioni percorribili a quelle rese possibili attraverso l’acquisto di beni o la fruizione di servizi. Minaccia inoltre di distruggere i beni comuni e collettivi delegittimando la loro capacità diretta ed indiretta di rispondere ai bisogni umani.
IV. In questo contesto può essere collocata la battaglia tra quanti inducono ed alimentano “nuovi bisogni” sostenuti dalle dinamiche professionali e giustificati dal punto di vista economico dal feticcio della crescita, attraverso beni e servizi sempre nuovi (siano essi pubblici o privati) e quanti tentano al contrario di liberare se stessi e gli altri dalla tirannia di un siffatto “bisogno” evocando il mito della decrescita felice attraverso modifiche comportamentali, cognitive e comunitarie. E proprio in questo territorio controverso che si possono trovare le soluzioni per affrontare la crisi del welfare ed affrontare con spirito nuovo la programmazione e gestione dei servizi alla persona; per questo serve uscire dalla trappola che consiste nel leggere il problema dei bisogni in chiave ideologica, interpretandolo come un compito tecnico e senza coglierne la drammatica complessità.
Proprio a partire dalla accettazione di questa complessità potranno essere inventate soluzioni alternative e potranno essere trovate le risorse necessarie per, da un lato, mettere a punto e costruire processi attivanti, capaci di potenziare le capacità umane e l’autonomia, e, dall’altro, per disegnare infrastrutture attivanti che possano favorire la generazione di capitale sociale, mettendo a valor comune il grande patrimonio rappresentato dai beni comuni e collettivi.